Anno 1984-1985

RESTAURO DI UNA CAPANNA CELTICA

Le ricerche e le relazioni del Socio Prof. Battista Minghelli su “Le capanne celtiche”, tipiche costruzioni di origine celtica dell’alto Appennino (nelle zone di S. Andrea Pelago, nel Comune di Pievepelago, e di Versurone, nel Comune di Fiumalbo), sono state di stimolo al Club per suggerirne un “service”: la ristrutturazione di una di esse, essendo la quasi totalità ormai in rovina.
Fu identificata la capanna celtica in località “Roncacci” (a monte di S. Andrea Pelago) in quanto, in rapporto alle altre esistenti, era quella in condizioni di base più accettabili. Con notevole impegno organizzativo e finanziario, è stato completamente restaurato il tetto in paglia (le mura erano in discrete condizioni) riportandolo all'antico splendore. Una lapide commemorativa, posta in occasione di una successiva “gita ecologica”, ricordava il “service” ai visitatori.




LE CAPANNE CELTICHE DEL FRIGNANO PERFETTA SOLUZIONE ARCHITETTONICA IN AMBIENTE RURALE

La capanna comunemente nota come “celtica” rappresenta un relitto culturale particolare del Frignano, la zona montagnosa della provincia di Modena a contatto con la Toscana.
La qualifica di “celtica” è, allo stato attuale degli studi, puramente convenzionale perché, se certi elementi storico – culturali dirigono la nostra attenzione verso le aree prettamente celtiche (Francia del Nord, Paesi Bassi, Inghilterra e Irlanda), altri ci fanno guardare verso il Bellunese e poi, oltre le Alpi, alla Germania del Nord (Meclembugo, Schleswig-Holstein).
Un recente articolo di Mauro Vedana sul bollettino n. 229 di “Italia Nostra” tende a dimostrare che le così dette “casere” bellunesi (e ne esistono ancora parecchie decine) sono i relitti di una tipologia introdotta al di qua delle Alpi dalle migrazioni germaniche dal V all’VIII secolo, prima di tutti i Longobardi e poi, forse non secondi, i Franchi.
Infatti, la struttura dei timpani a gradoni, caratteristica di queste capanne, si ritrova anche in quelle regioni nordiche, da dove sono partite le invasioni dei Longobardi verso il nostro sud e dei Franchi verso la Gallia e, quindi a est, verso l’Italia.
Se ciò fosse esatto, la tipologia in questione non sarebbe così antica come comunemente si crede – IV, I secolo avanti Cristo, quando i Celti della pianura modenese vennero cacciati verso la montagna dai Romani vittoriosi – ma dell’VIII-IX secolo dell’era volgare, quanto durò nel Frignano l’influenza dei Longobardi. Può essere o non essere; certo è che, nel Frignano, sono chiaramente visibili e operanti influenze storiche, culturali e linguistiche sia dei più antichi Celti e sia dei più recenti Longobardi.
Comunque sia, limitiamoci al fatto in sé, alla sopravvivenza di questa particolare architettura che esiste soltanto in ambiente rurale e nella sola isola del Frignano, nell’alta valle dello Scoltenna, alle spalle delle località di S.Andrea Pelago e di Fiumalbo. Tutto lascia credere che tale tipologia fosse un tempo molto più diffusa; ma il sopravvenire di altre architetture, i miglioramenti e le innovazioni imposte dai tempi mutati hanno lasciato deperire tali costruzioni o le hanno progressivamente modificate e sfigurate.

Ed ora qualche notizia particolare. La pendenza del tetto, sempre a due acque, è notevole (50-60 per cento) allo scopo di evitare che la neve indugi sulle coperture e produca corrosione della paglia. Con tali accorgimenti, una copertura di buona paglia di segale può durare anche 60-70 anni.
I gradoni, che accompagnano verso il displuvio le due penne in muratura che si fronteggiano, assolvono non tanto a funzioni estetiche (che pure non sono da trascurare) quanto a finalità pratiche: esse consentono di salire all’altezza desiderata e di facilitare così le riparazioni e anzi, quando la larghezza del tetto non è eccessiva, di collegare i gradoni opposti e alla stessa altezza con ponteggi mobili, dai quali è possibile la riparazione in qualunque punto del tetto.
Un tetto di paglia consente una copertura estremamente leggera, resistente e “calda”, là dove un tetto di ardesia non sarebbe possibile per mancanza di materia prima in loco e sovraccaricherebbe troppo le strutture portanti. Senza dire che l’accentuata pendenza non permetterebbe in modo assoluto l’impiego di lastre d’ardesia.
Nel Frignano la paglia era riservata esclusivamente alle capanne, l’ardesia locale invece alle case di abitazione, forse per evitare possibili incendi alla presenza di focolari sempre funzionanti.
La protezione di paglia era protezione sicura anche contro il vento; non per nulla nelle campagne belghe, olandesi e danesi essa è tradizionalmente usata anche per case di abitazione, con bellissimi effetti estetici. Appunto nelle campagne del Nord e nel nostro Frignano la normale diffusione delle coperture a paglia era dovuta alla necessità di una efficacissima difesa contro il freddo, l’umidità e il caldo estivo.
Un caratteristica che distingue le capanne “celtiche” dell’alto S.Andrea da quelle di Fiumalbo è data dalla presenza, nelle prime, di un portico antistante la facciata principale: un portico che permetteva il deposito e la conservazione degli strumenti da lavoro, l’accumulo dei covoni in attesa della trebbiatura e della massa del grano battuto in attesa della spulatura. Quanto a età, sembrano più antiche le capanne del Versurone di Fiumalbo, alcune delle quali datano dalla metà del 1700.

Tutte le capanne poi sono costruite a ridosso di piccoli rilievi di terreno per consentire, attraverso una porta a fil di terra, di collocare in “teggia” senza difficoltà i carichi di fieno. Infatti, il piano terreno era riservato al ricovero normale delle bestie, mentre la parte superiore, molto più spaziosa, alla conservazione del fieno e della paglia. I due vani erano divisi da un fitto tessuto di sottili fusti di faggio strettamente legati fra loro e collegati alle travi portanti: le così dette “garelle”.
Il territorio di S.Andrea Pelago conta ancora una quindicina di capanne, nel Versurone di Fiumalbo ne restano una ventina: tutte in forte e rapidissimo degrado, se non intervengano ad opportuni restauri Enti benemeriti come la Forestale e il Lions Club di Pavullo.

Articolo del Prof. BATTISTA MINGHELLI, pubblicato su “Antiqua” (mensile dello “Archeo Club” d’Italia) nel 1987.



LA SALUTE DEL BAMBINO NELL’U.S.L. N.18 E IL RISCHIO DI DIABETE

Questa è stata un’indagine, del tutto originale e senza nessun precedente nel nostro territorio, promossa dal Club e dall’U.S.L. n.18, con la collaborazione del Provveditorato agli Studi di Modena, del Distretto Scolastico n.20, della Divisione di Pediatria dell’Ospedale di Pavullo e del Servizio Materno Infantile dell’Età Evolutiva (S.M.I.E.E.).
Sono stati distribuiti 3.004 questionari in tutte le Scuole Elementari e Medie dei dieci Comuni del Distretto Scolastico n.20, per raccogliere dati sulla frequenza di malattie e sul rischio di diabete nell’età infantile. I questionari compilati dalle Scuole Elementari sono stati 1.573 (91,8%) e quelli dalle Scuole Medie inferiori 1.055 (81,6%): in totale sono tornati compilati 2.628 opuscoli pari all’87,4%, un dato che testimoniava l’ottima riuscita dell’iniziativa. I dati sono stati elaborati e i risultati sono stati pubblicati nel 1986 a cura del Club e ridistribuiti a tutte le Scuole suddette: la redazione conclusiva è stata a cura dei Soci Dr. Giovanni Ulrici e
Dr. Francesco Marzani.
Da questa indagine risultarono non solo dati interessanti sulla possibile incidenza futura di diabete, ma anche dati sull’incidenza pregressa di malformazioni congenite, obesità, malattie dei familiari e interventi chirurgici. I ragazzi che già avevano un familiare diabetico, e quindi soggetti a un rischio più elevato di contrarre la malattia in età adulta, sono stati consigliati di consultare il Medico Curante per i necessari provvedimenti, specie in rapporto ad una corretta alimentazione.
Un’ulteriore “appendice” dell’indagine è stata rappresentata dal caso di una ragazza di 12 anni, già diabetica e in terapia insulinica da alcuni anni e che aveva quattro fratelli. Grazie alla fattiva collaborazione della famiglia, sono stati fatti prelievi di sangue ai cinque ragazzi, portati poi all’Ospedale Malpighi di Bologna per la determinazione in tutti del sistema HLA (allora in atto da pochi mesi) e inviati all’Università di Padova per la ricerca di anticorpi “anti-insula” (allora Padova era il luogo più vicino per questo esame, oggi invece generalizzato): i risultati di queste indagini furono assai interessanti, venendo a dimostrare che il sistema HLA dei quattro fratelli era identico a quello della sorella maggiore e che quindi erano anch’essi predisposti a contrarre la malattia. Questo dato importante fu comunicato al Medico Curante che ne avrebbe tenuto debito conto in caso di necessità.